mercoledì 30 maggio 2018

Quattro parole su #ARF4, la #comfortzone

2017: prima di andare all'ARF, avevo già fatto sei fiere.
2018: prima dell'ARF, ne ho fatte cinque.
La differenza è che, lo scorso anno, avevo incassato complessivamente un 40% in più, ad oggi.

Nel 2018 tutte le fiere sono andate in calando rispetto all'anno precedente, quale più quale meno.

Ne abbiamo provate due nuove, come Rimini di gennaio ed Ancona: sapevamo che erano un rischio, e tutto sommato è stato un piccolo investimento. Ma Romics, Napoli Comicon e Teramo non sono state all'altezza. E neanche di poco.

Mi accostavo quindi all'ARF un po' preoccupato, visto che questa è una manifestazione un po' particolare, che solo l'anno scorso ha iniziato a dare frutti, dopo un lavoro lungo e paziente.


Dell'ARF, dicevo anni fa:

La "piccola rivoluzione", che consiste nel mettere il fumetto al centro del progetto, è ormai assodato: ha funzionato! L'Arf non è stata la prima, né l'unica manifestazione a farlo: ma l'ha fatto in modo quasi integralista. Fumetto, fumetto, fumetto.

Togliamo il "quasi": l'ARF è una fiera integralista di fumetto.
E di fumetto abbastanza autoriale.

Al di là degli inconvenienti di cui raccontiamo qui, il pubblico compra fumetto.
Non cerca principalmente pupazzi, o porchetta, o lenti a contatto colorate.

No: fumetto.
Strano ma vero.



Il risultato finale, un po' in calo rispetto allo scorso anno, in cui comunque era stato più che buono, è specchio di questo. Sicuramente incide il fatto che il novanta per cento degli espositori sono autori o editori, quindi solo cinque fumetterie possono incassare decentemente, mentre se fossimo di più, probabilmente, l'incasso sarebbe nettamente peggiore.

L'organizzazione cresce ogni anno, la copertura mediatica anche: tanta la pubblicità in giro per la capitale, tanti gli articoli o le testate giornalistiche presenti o che hanno fatto pezzi. Il vernissage di giovedì sera era colmo di personalità... tanto che forse sarebbe stato commercialmente più interessante spostarlo al venerdì!

Le conferenze, a riprova dell'interesse vero per il fumetto, erano sempre colme.
Spero che non vi siate persi, anche in streaming magari, quella del Gran Diamigi, con Sio e Daniele Fabbri mattatori d'eccezione...

La self area, colma di autori, sembrava un accampamento di creatività: fiere come Lucca Comics e, perché no, anche il Napoli Comicon, dovrebbero prendere spunto...




Di converso, va detto che il bar è peggiorato rispetto agli ultimi anni, il che è problematico se si tratta dell'unico punto di ristoro interno, visto che è purtroppo sparito lo street food...
E, altra nota dolente: la logistica. Poco chiara, da semplificare mettendo più cartelli e indicazioni.

Per il resto, la polemica della fiera è stata quella sulla "comfort zone", definizione che il buon Roberto Recchioni ha appioppato all'ARF, in merito soprattutto all'assenza di cosplayer e di "linguaggi" esterni al fumetto.

Cosa è una comfort zone?
Leggete qui:

Una definizione ci viene dalla Psicologia Comportamentale che definisce la comfort zone come: “La condizione mentale in cui la persona agisce in uno stato di assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire un senso di rischio” (Wikipedia: Alasdair A. K. White :“Teoria della comfort zone”). Si tratta quindi di una condizione di routine, di familiarità e sicurezza in cui ci si sente del tutto a proprio agio, senza percepire (percepire!) alcun rischio o minaccia. 
In un certo senso è “comfort zone” il cosiddetto “stare nel proprio” o "stare al sicuro", al calduccio insomma: fare quelle cose che conosciamo e ci rassicurano (e solo quelle), stare con persone che conosciamo e da cui sappiamo cosa aspettarci, non assumersi rischi o limitarli al minimo.

Secondo me, per molti, le comfort zone sono le classiche fiere del fumetto le "luogo" + "comics" + "&" + "games", quelle che si fanno in tutta Italia e che, a parte rare eccezioni che vedono l'ARF come portabandiera, sono in realtà "cosplay, games e comics", ma nelle quali la parola fumetto viene sbandierata perché, oggi come oggi, attira e da una certa immagine.

Personalmente, ho sempre criticato - privatamente e pubblicamente - l'ARF per tutte le storture che aveva e nel tempo ha saputo mitigare, cosa che faccio con tutte le realtà cui partecipo e che amo pensare si possano migliorare: per lavorare meglio, essenzialmente. Ma non la definirei mai una comfort zone, perché oramai è vero il contrario: l'abitudine, la familiarità e la sicurezza, ce la danno le tante organizzazioni monolitiche, incapaci e quasi arroganti di molte fiere che esistono in Italia.




Per il resto, come ogni anno, complimenti ed in bocca al lupo all'ARF per la prossima edizione!

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