Grazie all'aiuto di alcuni amici, in questi giorni che precedono la "calata" di Gipi a Terni, ci serviamo di alcuni amici per recensirne alcune opere.
Iniziamo con Diario di Fiume, che ci viene raccontato da Gianfranco Loriga, proprietario di Loriga Fumetti di Cagliari, e storico primo presidente dell'Afui, Associazione Italiana Fumetterie.
Diario di fiume è una raccolta di
dodici piccoli esempi della grande capacità affabulatoria di Gianni
Pacinotti in arte Gipi e rappresenta allo stesso tempo una specie di
catalogo della sua poetica.
Tra questi i racconti 'I due funghi',
'Il genio', 'Io, te, il demonio e la magia nera', 'Una storia sulla
merda' insieme a quello che dà il titolo alla raccolta, pescano dal
grande serbatoio dei contraddittori ricordi giovanili: le piccole
sconfitte, le credulità, le bravate, tutto quello che acquisisce man
mano fulgore con l'avanzare dell'età e che caratterizza i temi delle
opere più famose e riuscite dell'autore pisano.
Con 'Il pugile', 'La ragazza di
plastica' e 'Appuntamento a Venezia' abbiamo invece tre momenti di
pura fiction, densa sì di echi autobiografici ma narrativamente
autonoma e capace di generare genuino sense of wonder nel lettore
mentre 'Dramma marocchino' rappresenta in modo esemplare la via di
Gipi al graphic journalism: pochi, sapienti tratti che dispiegano in
modo emozionante la semplice ed inevitabile verità delle umane
sofferenze.
Infine 'Il cacciatore di cuori', 'La
ragazza volpe' e 'Puzzola' sono tre istantanee, le prime due di
figure inesistenti, la terza di una persona vera ma a suo modo
irreale per gli altri.
Quello che diventa chiaro al lettore
alla fine dell'antologia, sia che Gipi rammenti attimi della propria
giovinezza sia che riporti voci interiori altrui, è che la sua
capacità di coinvolgere ed interessare a partire da dettagli minimi
o persino triviali è certamente quella del narratore di razza, colui
che ti può far appassionare a storie e ritratti anche frammentari o
monchi. Non a caso in più di un'occasione, leggendo queste
storie, ho ritrovato lo stupore provato di fronte a certi passaggi
particolarmente ispirati del grande Andrea Pazienza, quelli del Paz
più lirico, più intimo ed intenso, quello degli improvvisi ed
inaspettati cambi di registro, delle brusche virate dal poetico al
grottesco. Infine (ma forse l'autore dissentirebbe) nonostante
l'incompiutezza o l'inevitabile ingenuità di alcuni di questi
momenti narrativi, perché legati ai suoi esordi, resta ben visibile
al lettore la cifra a mio avviso più emblematica della poetica
'gipiana': il candore di un artista disilluso ma mai cinico o amaro,
capace di cogliere la bellezza nei frammenti.
Gianfranco Loriga
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