giovedì 11 giugno 2020

Dopo la pandemia, cosa rimane ai bambini?

Quando sono iniziate le prime restrizioni - il 4 marzo chiudevano le scuole di ogni ordine e grado (quanto suona bene "di ogni ordine e grado"?) - si sono rivisti i bambini per strada.
Si: distanziamento sociale, è vero.

Ma all'inizio era bello vedere i cortili pieni, sentire le urla.
Vederli riappropriarsi di spazi che un tempo erano nostri, prima dei nostri genitori, ma poi erano rimasti abbandonati, senza proprietari che li reclamassero. TV, videogiochi, troppi impegni: essenzialmente poco tempo da parte dei genitori. Ma i bambini, per strada, si vedono poco.
E quando li vedi, soprattutto i più grandi, hanno le facce immerse nelle luci degli schermi dei telefoni.

Quindi, si: era bello sentire quelle grida e i palloni che rimbalzavano.

Poi, il silenzio.

Parchi aperti ma... giochi chiusi!
Una delle tante stranezze di questa quarantena...

Dal 10 marzo, tutti a casa. Sono passati oltre tre mesi.

All'inizio li portavi a passeggio: parco, corsetta, un po' di movimento.
Mano a mano, i cani hanno preso il sopravvento: parchi chiusi, attività fisica sempre più difficile da fare, tra le persone che ti guardavano male o ti urlavano qualcosa, e le restrizioni del governo.

Anche chi abita praticamente in campagna come il sottoscritto, al massimo usciva per una triste ora d'aria. Sempre lo stesso percorso, poca scelta: chiaro che a un certo punto pure i bambini - ricordando che in ogni caso le attività ludiche erano vietate - si rompevano le scatole...

Nelle prime settimane, era anche difficile comprare qualcosa per loro: cartolibrerie e negozi di giocattoli chiusi. Supermercati con intere aree o corsie vietate.
Ma perché, poi? Il divieto dei primi DPCM era per alcune attività, non per i prodotti: l'interpretazione che le stesse FAQ del sito del Governo, è vero, andavano nella prima direzione. Ma non sono legge, non dimentichiamolo, solo una interpretazione, appunto.
Infatti alcuni supermercati vendevano giocattoli e materiale cartolibrario... ma solo nel fine settimana o in alcune fasce orarie; idem le edicole.

E, mentre non potevi portarli fuori, o comprar loro neanche materiale scolastico e per svago, o giocattoli - online o edicole a parte - c'era la DAD.
Ai fortunati che lo ignorano e pensano che dal nome possa essere un'amichevole attività ludica da svolgere con la famiglia o i migliori amici, spiego in realtà si tratta della Didattica A Distanza, una delle iniziative più fallimentari della storia della Pubblica Amministrazione Italiana.

Innanzitutto, chiariamolo: la DAD non era obbligatoria.

Ovvio: un paese che non ha una rete internet adeguata, non promuove l'informatizzazione, non investe in prodotti tecnologici neanche per farli usare nelle scuole, non può pensare in pochi giorni di attrezzarsi per vivere nel 2020. Per cui la follia più totale: l'istruzione dei più piccoli lasciata nelle mani di insegnanti che non sanno usare un PC, connettersi a internet... figuriamoci gestire una comunicazione contemporanea con decine di alunni. Cosa che incredibilmente non è cambiata in tre mesi...
Ore di lezione perse, orari improbabili, spesso schiavi dello smart working dei genitori (ma non dovrebbe essere il contrario?), compiti su compiti sul famigerato "Nuvola" per supplire ai ritardi - inevitabili - del programma. Le mitiche "schede" mal fotografate, che rendevano inutili le decine di libri comprati a spese dello Stato...

Ovviamente parlo dei più piccoli: alle superiori la DAD non dovrebbe creare problemi.
Almeno se non avete visto come copia un alunno durante una verifica, al telefono (AL TELEFONO!) con la madre al lavoro... almeno se lo avesse usato per cercare le risposte su internet, avrebbe imparato qualcosa...
E non vi dico il livello delle domande quale era...

In tutto questo, gli alunni - i bambini - sono stati completamente dimenticati.
Solo numeri, solo appiattimento totale. Nessun "investimento" di tempo ad esempio sul mezzo che stavano usando: capire come funziona un computer, cosa è una chat. Cosa è internet.
Per non parlare di riflessioni sul momento storico e su come lo stavano vivendo: niente di niente.
E dire che un evento come la quarantena poteva essere uno spunto notevole per approfondimenti di qualsiasi materia, per non arrivare addirittura a creare una empatia per capire come stavano, questi bambini, privati totalmente della loro vita "normale".
Ma no: meglio cinque o sei ore di videolezioni, compiti fatti al PC, TV, telefono e videogiochi, tanto per anestetizzare.

Con la riapertura, il paradosso: si poteva andare nei parchi, ma non usare i giochi.
Spiegatelo voi a dei bambini, che dopo due mesi a casa potevano uscire, ma non usare le altalene. Stare nei parchi, ma senza pallone.
Picnic vietati, qualsiasi attività proibita.
Aveva senso riaprire i parchi?

Ora, finalmente, la scuola è finita.
Teatri, cinema, discoteche: tutto ha riaperto o lo sta facendo.
La scuola ripartirà tra TRE mesi, ma ancora non si sa come: non per questioni di sicurezza, semplicemente perché le strutture non sono adeguate. Come quando c'è stato il terremoto - che nel centro Italia ancora è vissuto come un emergenza, quando sarebbe necessario vederlo ormai come un male con cui SI PUO' convivere - e le scuole non erano a norma, ma con qualche escamotage si poteva tenerle aperte.

Dicevo: strutture non adeguate. Aule piccole e/o troppi alunni.
Pensare di fare lezione cinque ore abbondanti con le mascherine e dieci minuti 10 di ricreazione è follia. Idem pensare di alternare didattica in aula con quella a distanza.
Forse si potrebbero trovare locali più adeguati. O prendersi qualche rischio e responsabilità, valutando struttura per struttura. Ma sia mai!

Come abbiamo vissuto un mese in cui quasi tutto quello che è stato lasciato bloccato lo è stato in seguito a mancata assunzione di responsabilità, almeno dopo la fase uno, o come tutta la ricostruzione vedrà lo Stato abdicare (altro che "vedere la pandemia come una occasione"), a meno che non si pensi che prestiti (onerosi) o rinvii (di tasse su "prestazioni" mai erogate da parte dello Stato) possano essere una risposta.

Ma tutto questo è solo politica, e non deve farci dimenticare UN punto fondamentale: c'è una generazione di bambini e ragazzi che ha perso tre mesi di vita e le abituali sicurezze, davanti alla quale non dobbiamo sottrarci alle nostre responsabilità.
E la scuola, ad oggi, è stata un peso e non un supporto.

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