Il tutto, sempre ad opera dell'amico Andrea Avolio, competentissimo collezionista ed esperto conoscitore del fumetto USA.
Il solito caloroso saluto a tutti
quei seguaci del blog di Francesco che hanno letto le mie opinabilissime
recensioni precedenti, anche stavolta ho per loro una buona notizia, anzi
ottima: con questa ho finito! Dal prossimo post tornerete finalmente a leggere
cose più interessanti!
A Franz va il mio ultimo (per
ora) profondo ringraziamento per la sua accoglienza e per il suo ottimo lavoro
la cui qualità è, a differenza della qualità di quanto scrivo io,
inopinabilissima.
Detto questo, terminiamo la carrellata
sul Marvel NOW che dopo gli Avengers, gli X-Men e Spidey vede sotto i riflettori……tutti gli altri!!!!
Prima di iniziare ribadisco la
premessa di sempre e cioè, che “sono un
Marvel Zombie, di quelli che si ciucciano TUTTE le uscite del mese senza fare
storie e quindi le parole che scrivo potranno sembrare ad alcuni (spero non
troppi) un pochino “di parte””.
FANTASTICI QUATTRO (contiene le serie FANTASTIC FOUR e FF)
FANTASTIC FOUR di Matt Fraction e
Mark Bagley
Con questa serie i capoccia della Marvel hanno dato
al buon Fraction una bella gatta da pelare: rilanciare il Quartetto dopo la
gestione di Jonathan Hickman, che a mio avviso (da fan di Hickman) è stata magistrale
e ha espanso tantissimo il raggio d’azione dei Fab Four, inquadrandoli in una
prospettiva millenaria e veramente multiversale.
Fraction raccoglie il testimone e decide di
continuare, almeno nelle premesse, sulla falsariga del predecessore, ovvero (ri)lanciando
i Fab Four nello sconfinato universo alla ricerca di una cura per il degradamento
cellulare (una sorta di inaspettato effetto collaterale a lungo termine dovuto
all’esposizione ai raggi cosmici); la ricerca della cura viene tenuta segreta a
tutta gli altri da Reed (che apparentemente è anche l’unico a presentare i
sintomi del degradamento cellulare) il quale camuffa il viaggio come una avventurosa
vacanza a spasso per lo spazio (e anche per il tempo) a beneficio dei bambini e
di tutta la famiglia.
Sebbene le premesse siano interessanti, purtroppo
nell’esecuzione Fraction non convince troppo; si ha sempre l’impressione che,
forse per paura di non squilibrare troppo la trama, l’autore si limiti a fare
solo piccole oscillazioni tra le ambientazioni cosmiche e le dimensioni
personali di ciascun personaggio, senza mai eccedere o osare peccare di
originalità in nessuno dei due ambiti.
La prima impressione che infatti si ha è proprio
sulla caratterizzazione dei personaggi, che in alcuni casi sembrano essere
stereotipati o addirittura fare da tappezzeria, soprattutto quando (spesso) le
ambientazioni aliene sono preponderanti e ingombrano tutta la storia.
E a proposito di ambientazioni purtroppo mi viene
sempre da pensare, alla lettura di ciascun episodio, che le diverse cornici
cosmiche sarebbero state sicuramente meglio sfruttate da Hickman, che le
avrebbe usate tutte come tessere di un enorme mosaico narrativo.
Forse il problema è proprio questo: Fraction ci va
troppo cauto sotto tutti gli aspetti per paura che il suo ciclo stoni troppo
con quello del predecessore, col risultato che non fa altro che inanellare una
serie di quadretti autoconclusivi, piacevoli da leggere, molto ben disegnati da
Bagley, leggeri, carini e che non impressionano per niente: soprattutto
manca quell’azione rocambolesca e
dall’esito mai scontato a cui da sempre ci ha abituato l’autore.
Probabilmente se la serie fosse stata scritta da un
autore di primo pelo ne avrei avuto un giudizio assai più benevolo, ma
dall’autore del “miglior Iron Man di sempre” mi aspettavo molto di più.
Voto alla
serie 5
FF di Matt
Fraction e Mike Allred
Ricordiamo, a beneficio di quanti non conoscono questa
recente serie, che FF sta per Fondazione Futuro (Future Foundation) e racconta
le storie di una scuola, estremamente elitaria e multirazziale, fondata da Reed
Richards con lo scopo di radunare e far lavorare assieme le menti più giovani e
geniali del pianeta, per creare, appunto, il futuro. La serie fu (ovviamente)
ideata dal solito Hickman e nasceva come compendio (quasi sempre
imprescindibile) delle avventure del Quartetto narrate sulla serie principale.
In questo caso, a differenza di FANTASTIC FOUR,
l’avvicendamento col nuovo autore ha ben giovato alla serie che, nella sua precedente incarnazione
non reggeva sempre bene il confronto con la serie madre.
Stavolta infatti Fraction sembra libero da quella
sudditanza stilistica col predecessore che ha deciso di auto-imporsi su
FANTASTIC FOUR e dà pieno sfogo alla sua libertà creativa, affrancando
completamente le vicende della FF da quelle dei F4 sebbene le due serie muovano
dalla stessa premessa narrativa.
Di fatto ci ritroviamo con Reed, per tutta la
durata del loro viaggio (vedi recensione precedente), affida la Fondazione
Futuro ad un riluttante Ant-Man (Scott Lang) che assembla una squadra di
Fantastici Quattro “sostituti” degli originali che staranno lontano da casa
parecchio più del previsto.
Fraction, su queste pagine finalmente libero dal
fantasma di Hickman, crea una serie eccellente, emancipandosi da tutto ciò che
ci si aspetterebbe da una normale serie del Quartetto.
Innanzitutto inverte le quote rosa canoniche (qui,
al contrario dei FQ, abbiamo tre donne e un solo uomo! Poveraccio!), così
facendo sovverte anche il concetto di famiglia in senso tradizionale, laddove
c’è Sue a dover fare da chioccia agli altri tre, qui abbiamo Scott Lang che,
tra le sue tribolazioni per la recente morte della figlia deve anche accudire
una dozzina circa di ragazzi di gran lunga più brillanti e geniali di lui e,
come se non bastasse, deve pure fare da balia a tre primedonne, di cui una
profondamente insicura (la celebrity Darla Deering/Miss Thing), una
eccessivamente sicura di sé (Jennifer Walters/She-Hulk) e una autenticamente
caçaça$$i (la Regina degli Inumani Medusa). Il risultato è divertimento puro!
Azione, humour, brio e tanta umanità, al punto che gli episodi più interessanti
sono proprio quelli che deviano dall’azione principale per darci delle
deliziose pause di riflessione.
E poi, lo so che non piace a tutti ma a me fa
impazzire, la serie è disegnata da Mike Allred (e talvolta da qualche suo
emulo), e ultracolorata dalla moglie Laura: le tavole sono delle vere icone
POP!
Voto alla
serie 7
GUARDIANI DELLA GALASSIA (contiene le serie GUARDIANS OF THE GALAXY e NOVA)
GUARDIANS OF
THE GALAXY di Brian Michael Bendis e Steve McNiven (prima) e Sara Pichelli
(poi)
Problema: come facciamo per rilanciare un mensile
dedicato ad un gruppo di eroi che fino a qualche anno fa era considerato di
secondo ordine e oggi ci dicono che dobbiamo portarlo sotto le luci della
ribalta perché stanno per farci un film?
Risposta (semplice): lo facciamo
scrivere a Brian Michael Bendis!
E il risultato è stato CENTRO PERFETTO (come
sempre….)
Bendis ha qui ereditato una situazione dove non
poteva sbagliare, per due motivi: innanzitutto perché è dotato di un talento
innato nel farti sembrare totalmente nuovi quelli che sarebbero gli stessi
personaggi di sempre, semplicemente perché è capace di cambiare radicalmente il
punto di vista (dei personaggi, delle storie, della narrazione); in secondo
luogo perché ha trovato la pappa già pronta…..tutta la faticosa opera di
bonifica, riorganizzazione e rassetto del lato cosmico della Marvel è stata
svolta (a mio parere egregiamente) dal duo britannico Abnett/Lanning nell’arco
degli ultimi 7/8 anni, da Annihilation in poi.
A questi ultimi si deve infatti la re-invenzione
dei Guardiani e l’impronta irresistibile che hanno dato alla serie, fortemente
improntata sui personaggi.
Quindi Bendis non fa altro che prendere questi
personaggi già così fortemente connotati e renderli ancora più forti e
irresistibili, ampliando le origini dei personaggi (per ora solo Star-Lord in
particolare) con sapiente uso della retro-continuity e utilizzando i nuovi
elementi che introduce nel loro passato come base per gli sviluppi futuri; il
tutto inframmezzato da rocamboleschi siparietti e dialoghi bendissiani e
poi... tra le fila dei Guardiani adesso c’è anche Iron Man, introdotto
probabilmente come esca commerciale per blindare ulteriormente la buona
riuscita della serie. A qualcuno questa cosa può far storcere il muso
(all’inizio anche a me) ma credetemi, la presenza di Tony Stark vi sembrerà
fondamentale quando sul n. 5 vedrete Gamora cedere alle avances sessuali di
Tony...
Steve McNiven non ha bisogno di lodi, perché è uno
dei migliori disegnatori sulla piazza (e non sono io a dirlo) e non abbiate
timore che vada via perché Sara Pichelli (applauso per la bravissima
disegnatrice romana!) non ve lo farà rimpiangere neanche per un istante!
E poi non dimentichiamo che nel futuro della serie
c’è Angela (sì proprio quella di Spawn!) uno dei più recenti acquisti nella
scuderia dei personaggi Marvel, cosa ci combinerà quel cacchio di Bendis? Voto alla serie 8
NOVA di Jeph
Loeb e Ed McGuinness
Mi dichiaro orfano di Richard Rider, il Nova
originale. Mi sono innamorato di questo personaggio a partire dalla gestione
Abnett/Lanning quando con gli occhi degli anni che passano, ho realizzato come
fosse cresciuto l’Universo Marvel ed io con lui. Richard Rider era passato dall’essere
il “Razzo Umano”, il solito adolescente timido e insicuro che faceva il
paladino del bene con un secchio dorato in testa nel giardino dietro casa ad
essere Nova Primo, membro di spicco di un corpo di polizia intergalattico,
detentore della Forza Nova e maturato, lontano dalla propria casa e dalla
Terra, una casa alla quale si rende conto di “non poter far più ritorno”.
E’ immaginabile dunque la mia reticenza verso
questa nuova incarnazione del personaggio, che non è più Richard Rider
(defunto alla fine di Thanos Imperative), bensì un ragazzino, Sam Alexander,
figlio di un membro della sezione speciale (e finora inedita) dei Nova Corps,
che hanno il casco nero invece del classico dorato e agiscono con metodi meno
ortodossi.
Diciamo subito che però, a dispetto della mia
iniziale ritrosia, la serie mi ha conquistato sebbene il protagonista sia, almeno
teoricamente, molto più appetibile per un pubblico adolescente.
In realtà il personaggio sembra molto solido e credibile,
è un ragazzino che deve fare i conti con una mamma apprensiva e una pesante
eredità lasciatagli da un padre assente che, perdente nella vita reale,
raccontava storie affascinanti ma apparentemente assurde sulle sue eroiche
imprese cosmiche. Quando Sam scopre che suo padre è morto e che queste storie
erano vere, riscopre piano piano di avere sempre amato e ammirato suo padre... e
che forse non è davvero morto!
Insomma l’affiatata coppia Loeb/McGuiness colpisce
nel segno e ci regala una serie densa di azione e colpi di scena, divertente e
coinvolgente, una irrefrenabile cavalcata all’apparenza leggera ma in grado di
regalare più di qualche momento commovente, cosa insolita per Jeph Loeb, che mi
è sempre sembrato un maestro indiscusso dell’azione ma abbastanza carente di
introspezione. In questo caso invece riesce a tirare dentro alla serie sia il
pubblico adolescente (che può facilmente immedesimarsi col protagonista) che
quel pubblico un po’ più attempato (cui appartengo) che forse si rivedono come
padri attraverso gli occhi del protagonista.
Ottima serie, ma mi sento sempre orfano del vecchio
Richard Rider (che volete farci sono un pochino vecchio anch’io). Voto alla serie 7
INDISTRUTTIBILE HULK (contiene
le serie INDESTRUCTIBLE HULK, RED SHE-HULK e FEARLESS DEFENDERS)
INDESTRUCTIBLE
HULK di Mark Waid e Leinil Yu
Ribadisco l’ovvio: credo che, dopo Peter David, su
Hulk sia rimasto davvero pochissimo, se non proprio nulla da dire.
David aveva sostanzialmente capito due cose.
La prima è che si tratta di un personaggio quasi
impossibile da scrivere, a meno che non venga utilizzato come pretesto, o
piuttosto come allegoria, per raccontare qualcos’altro.
L’altra cosa che aveva capito è che per far
funzionare il personaggio bisogna farlo agire in gruppo: solo le dinamiche
corali e le emozioni/reazioni di altri personaggi danno senso e significato
alle azioni del Gigante di Giada. Questa cosa è stata anche dimostrata al
cinema: entrambi i film dedicati a Hulk in solitario (usciti nel 2003 e nel
2008) sebbene interpretati da attori diversi e con regie completamente
differenti non hanno convinto il pubblico, mentre in Avengers il personaggio è
risultato uno dei più riusciti, secondo forse solo ad Iron Man.
Consiglio a tutti la lettura dello splendido volume
HULK: THE END, di Peter David appunto, per capire in fondo quello che sto
dicendo.
Ma veniamo al presente (Marvel NOW appunto).
Dopo una decina di anni in cui gli autori hanno
fatto fare ad Hulk veramente di tutto, tentando declinazioni di generi diversi
e con risultati molto altalenanti e discutibili (le cose meglio riuscite sono a
mio avviso Planet Hulk, una storia appunto corale e Hulk Rosso, che NON è
Hulk!) arriva Waid e, semplicemente, decide di risolvere l’eterno conflitto
Banner/Hulk. Almeno da un punto di vista narrativo, alternando il fisicamente
ingombrante Hulk con una cosa altrettanto ingombrante: l’ego di Bruce Banner.
Il problema era proprio questo, e cioè che dopo
Peter David gli autori hanno tendenzialmente
rappresentato sia Hulk che Banner come due creature puramente reattive,
il primo perché essenzialmente è una bestia, il secondo perché era
essenzialmente succube di quella bestia. E quindi nelle sue storie non poteva
mai succedere nulla di nuovo (ve l’immaginate quanto può essere interessante
una serie mensile che ha come protagonisti un cane rabbioso tenuto in gabbia e
il suo guardiano che lo guarda terrorizzato tutto il giorno?).
E quindi che fa Waid? Ci propone un Banner
proattivo, dall’ego smisurato, machiavellico, controverso, che pianifica quasi
fosse un supercriminale (e chi ci dice che non lo sia?) e che usa Hulk, invece di averne paura.
Contemporaneamente (lezione n.2 di Peter David)
inserisce il protagonista in un contesto corale (lo S.H.I.E.L.D.) e lo pone a capo
di un team di scienziati molto ambiziosi (ma anche molto nervosi all’idea di
lavorare in un angusto laboratorio a contatto con una bomba vivente).
Attenzione: sulla carta queste premesse paiono
ottime e mi garbano pure tanto ma non mi sembra che Waid le stia spingendo con
troppo entusiasmo, preferendo forse in via prudenziale dare più spazio ai
disegni di Yu, che sono davvero di altissimo livello e scegliendo, nel secondo
arco narrativo, di puntare sulla presenza di un comprimario di grido (Thor) e
sulle tavole spettacolari di una guest star d’eccezione come Walter Simonson. Si
consiglia a Waid di cominciare ad osare un tantinello in più, altrimenti la
serie da nuova e INDISTRUTTIBILE tornerà ad essere come la vecchia INCREDIBILE
per poi finire diventando come al solito INVENDIBILE. Voto alla serie 6
RED SHE-HULK
di Jeff Parker e Carlo Pagulayan
Personalmente credo che gli Hulk Rossi siano la
migliore (anzi mi correggo: l’unica vera) innovazione nell’Hulkafamiglia da
parecchi anni a questa parte.
Entrambi i personaggi, il generale Thunderbolt Ross
(Hulk Rosso, nonché ex-nemesi di Banner/Hulk) e sua figlia Betty (She-Hulk
Rossa, nonché ex-moglie di Banner/Hulk) hanno secondo me tantissimo potenziale poco
sfruttato, essi infatti incarnano degli aspetti “hulkiani” non convenzionali,
in netta contrapposizione a quelli canonici delle loro controparti verdi.
Infatti se Hulk Rosso conserva lucidità e
intelletto anche se trasformato (a differenza di banner), il contrario avviene
per She-Hulk Rossa che (a differenza di Jennifer Walters) perde
progressivamente i freni inibitori una volta trasformata.
Quindi mi aspetterei (abbastanza ragionevolmente)
che una serie dedicata alla Gigantessa di Fuoco sia composta essenzialmente di:
azione sfrenata, colpi di scena, un po’ di introspezione, tanti comprimari,
relazioni umane, gnocca e, perché no, anche sesso.
E invece cosa abbiamo qui? Una trama piatta e
inconcludente raccontata in maniera pesante, con decisamente troppo testo
(spesso banale e stucchevole) e senza una direzione chiara.
Le storie sono faticose da leggere, lo storytelling
manca di perizia perché è troppo centrato sui dialoghi (insipidi, lunghi e
spesso puramente didascalici) anziché sulla scansione delle scene, c’è un solo
comprimario, X-51/Machine Man, che qui si limita a incarnare il fesso
stereotipo del robot/coltellino svizzero, la protagonista è assolutamente priva
di qualsivoglia caratterizzazione, non c’è traccia di nessuna umana
contraddizione né l’ombra di un dubbio.
A tutta questa illeggibile piatta pesantezza Jeff
Parker ci aveva già abituato quando, nella precedente incarnazione della serie,
narrava le vicende di Hulk Rosso, pensate addirittura che una volta saltai
(involontariamente) la lettura di un numero e non me ne accorsi neanche….
E poi i disegni…..sono davvero brutti! Ma come,
abbiamo la possibilità di disegnare una supergnocca e ci mettiamo uno che ce la
mette tutta (ma proprio tutta!) a fare volti inespressivi e a non ingarrare UNA
proporzione anatomica!
Ma qui ci vorrebbe un autore sensuale, che faccia
veramente esplodere la carica e la prorompente fisicità della protagonista: ci
voleva, che so io, un Deodato Jr., un McGuiness, un Cho, un Dodson, un
Adams…anche solo per i primi numeri, giusto per rilanciare in grande stile. Voto alla serie 3
FEARLESS
DEFENDERS di Cullen Bunn e Will Sliney
Anche qui abbiamo a che fare con una serie
imperniata sulla gnocca, stavolta al plurale. Valchiria, notevolissima stanga
nordica, si accolla infatti il difficile compito di assemblare una squadra di
donne con gli attributi, praticamente un ginepraio di divoratrici di uomini.
Le copertine sono davvero belle, anche qui la
Marvel gioca a catturare la nostra attenzione abbinando idee di design a
qualche ammiccante decimetro di pelle.
Peccato che, dietro le copertine, ci sono delle
storie molto discutibili.
Innanzitutto l’idea di base è ripetitiva: su queste
pagine Cullen Bunn riprende il personaggio di Valchiria protagonista della sua
precedente serie THE FEARLESS mostrandoci un sapiente uso del copincolla,
riproponendoci una storia del tutto simile, con la stessa protagonista, impegnata
in una analoga ricerca dal sapore ancestrale, che affronta avversari di
provenienza ugualmente asgardiana e che saltuariamente si allea con altre donne
guerriere.
La narrazione è scattosa, con troppi repentini
cambi di scenario, inframmezzati da azione un tantinello annacquata; la
sensazione è proprio che l’autore stia volontariamente allungando il brodo
(forse per carenza basilare di idee?) in ogni modo possibile e di conseguenza,
proprio come su FEARLESS, anche qui si fatica a seguire il filo logico della
trama e ancora peggio non si capiscono le motivazioni dei personaggi, forse
proprio perché l’autore non si spreca troppo a caratterizzarli. I dialoghi sono
spesso monotoni, quasi privi di personalità e contribuiscono a far appisolare
il lettore (almeno questo lettore che scrive). I disegni sono carini ma niente
di particolare, con tutta quelle belle figure femminili da rappresentare
potevano chiamare qualcuno meglio di uno che si limita a fare la brutte copie
di Mark Brooks che ai suoi tempi esordì facendo le brutte copie di Mark Bagley.
Voto alla serie 4
DEVIL E I CAVALIERI MARVEL (contiene le serie DAREDEVIL, PUNISHER WAR ZONE e
THUNDERBOLTS)
DAREDEVIL di
Mark Waid e Chris Samnee
Quali apprezzamenti posso aggiungere io alle
centinaia di lodi intessute dappertutto, cosa posso dire io in più che non sia
stato già eloquentemente analizzato dalla stampa specializzata, cosa posso fare
io più degli altri per convincervi a leggere questa serie vincitrice
dell’Eisner Award 2012 come miglior serie e come miglior sceneggiatore?
(veramente ha vinto anche come miglior episodio singolo, il n.7, ma è
precedente al Marvel NOW).
Posso solo dire che questa serie è deliziosa, coinvolgente
e commovente.
I personaggi sono tratteggiati da Waid in maniera
magistrale, la trama e la scansione sono in equilibrio perfetto, scandite
dosando sapientemente l’azione e l’introspezione, i dialoghi e i colpi di
scena.
L’impressione generale che si ha è di star leggendo
un fumetto armonioso, in cui sceneggiatura e disegni sono così sapientemente
intrecciati e inscindibili, da far dubitare che sono il frutto di due persone
distinte.
Non voglio dilungarmi troppo ma darvi solo un consiglio;
se siete di quelli che per qualche motivo si reputano troppo intelligenti per
leggere fumetti di supereroi, o pensano di avere un palato troppo fine per trovare
qualcosa di buono in mezzo alle banalità che la Marvel produce, se siete di
quelli che “no per me un fumetto è bello solo se scritto bene” o di quelli che
“no per me un fumetto è bello solo se disegnato bene” allora vi prego, non
leggete questa serie, che è adatta solo a chi vuole sognare ed emozionarsi
nella lettura, perché questo gli dà piacere.
Ecco, in una sola parola, la lettura di questa
serie è piacevole, di più non voglio dire. Voto
alla serie 9
PUNISHER WAR
ZONE di Greg Rucka e Carmine Di Giandomenico
Innanzitutto questa non è una serie regolare bensì
una miniserie in 5 parti e proprio a tal proposito apprezzo il buon gusto degli
autori che hanno condensato in uno spazio narrativo limitato una storia che è a
mio avviso un piacevole divertissement. In poche parole la storia è tutta un
avvincente pretesto per mostrarci come Frank Castle riesce a tenere testa pure ai
Vendicatori, che hanno deciso di dargli una regolata, con esiti anche brillanti
(una su tutte quella con l’armatura di Iron Man).
Molto ben scritta, coinvolgente e in diversi momenti
appassionante, la storia è egregiamente disegnata dal nostro Carmine; tutto ciò
rende questa miniserie una piacevole sorpresa nel panorama spesso mediocre del
Punisher post-Garth Ennis/MAX.
Voto alla
(mini)serie 6
THUNDERBOLTS
di Daniel Way, Steve Dillon (prima) e Phil Noto (poi)
Quando penso ai Thunderbolts non riesco a togliermi
dalla mente il ciclo di Warren Ellis e Mike Deodato Jr. in cui l’arma più
potente ed efficace del gruppo era la dilagante follia di Norman Osborn.
Quelli sì che incarnavano in pieno l’idea della
squadra di lupi travestiti (e anche poco) da agnelli, poi dopo c’è stata la
parentesi buonista/paternale della gestione Luke Cage (scritta da Jeff Parker e
a mio avviso un pochino mediocre) in cui i membri erano nulla più che semplici
eroi un po’ più riluttanti del solito ed adesso questa nuova incarnazione.
La nuova squadra, assemblata dall’autore Daniel
Way, vede al comando Hulk Rosso (alter ego del razionale e fine stratega
generale Thunderbolt Ross) e un manipolo di personaggi diversamente disturbati,
tutti con qualche affinità militare: il Punitore (il soldato per definizione),
Deadpool (il mercenario chiacchierone), Elektra (la ninja letale) e l’Agente
Venom (veterano di guerra).
Sulla carta questa squadra presenta indubbiamente spunti
interessanti ma la trama e lo sviluppo di Way non convince; dopo i primi due/tre
numeri in cui il racconto del reclutamento è ben scritto e scandito alla grande
dalla matita di Dillon (maestro del grottesco) la serie cola a picco verso
l’inconcludenza.
Ho trovato tutta la trama successiva ostica alla
comprensione e i colpi di scena un po’ forzati (dopo Hulk e She Hulk Rossi pure
il Capo Rosso mi sembra troppo); credo infatti che Way sia ancora abituato alla
scrittura di Deadpool, in cui l’unica cosa che contavano erano le gag isolate e
non era importante se le storie avessero un capo e una coda tanto il
personaggio vendeva a prescindere.
Poi la preminenza, sia fisica che narrativa, di
Hulk Rosso rende la serie monotona, il buon generale appare qui come un
manipolatore piuttosto che come un leader vero e proprio (come erano a loro modo
Osborn e Cage) e il suo approccio razionale è troppo prevalente su quello degli
altri con la conseguenza che le naturali frizioni che ci si aspetterebbe tra
personaggi del genere (e che costituirebbero il sale della lettura) sono
insipide ed edulcorate.
Prendendo ad esempio il personaggio di Venom, il
suo punto di vista non aggiunge e non toglie nulla alla narrazione, sembra
addirittura che stia lì senza un preciso motivo a far da tappezzeria.
E poi trovo la relazione sessual-sentimentale tra
Elektra e il Punitore veramente poco credibile: ma come è possibile lei non era
attratta solo dai bravi ragazzi alla Matt Murdock? E lui non era una specie di
soldato-monaco-frigido col fucile? E poi spiegatemi perché Deadpool, folle e
imprevedibile, dovrebbe sviluppare due sentimenti talmente prevedibili come
l’infatuazione e la gelosia per la bella ninja... ma dico io se decidi di
scrivere una cosa del genere vuoi almeno perderci un pochino di tempo in più a costruirla
in maniera credibile e non limitarti a buttarla lì e basta? Giusto per riempire
le pagine?
Non è un caso che la serie abbia da poco visto un
avvicendamento d’autori, dal numero 12 vedremo Charles Soule prendere le redini
delle sceneggiature (speriamo bene). Voto
alla serie 4
Andrea Avolio
Nessun commento:
Posta un commento