lunedì 17 marzo 2014

Recensire il Marvel Now #4 (di 4): Devil, Hulk & Co.


Continuiamo a parlare del Marvel Now: dopo il "piano dell'opera" in Italia di un annetto fa, dopo aver recensito gli Avengers, dopo aver fatto lo stesso con gli X-Men e con l'Uomo Ragno,  ora toccherà a... tutti gli altri!
Il tutto, sempre ad opera dell'amico Andrea Avolio, competentissimo collezionista ed esperto conoscitore del fumetto USA.




Il solito caloroso saluto a tutti quei seguaci del blog di Francesco che hanno letto le mie opinabilissime recensioni precedenti, anche stavolta ho per loro una buona notizia, anzi ottima: con questa ho finito! Dal prossimo post tornerete finalmente a leggere cose più interessanti!
A Franz va il mio ultimo (per ora) profondo ringraziamento per la sua accoglienza e per il suo ottimo lavoro la cui qualità è, a differenza della qualità di quanto scrivo io, inopinabilissima.
Detto questo, terminiamo la carrellata sul Marvel NOW che dopo gli Avengers, gli X-Men e Spidey vede sotto i riflettori……tutti gli altri!!!!
Prima di iniziare ribadisco la premessa di sempre e cioè, che “sono un Marvel Zombie, di quelli che si ciucciano TUTTE le uscite del mese senza fare storie e quindi le parole che scrivo potranno sembrare ad alcuni (spero non troppi) un pochino “di parte””.


FANTASTICI QUATTRO (contiene le serie FANTASTIC FOUR e FF)

FANTASTIC FOUR di Matt Fraction e Mark Bagley
Con questa serie i capoccia della Marvel hanno dato al buon Fraction una bella gatta da pelare: rilanciare il Quartetto dopo la gestione di Jonathan Hickman, che a mio avviso (da fan di Hickman) è stata magistrale e ha espanso tantissimo il raggio d’azione dei Fab Four, inquadrandoli in una prospettiva millenaria e veramente multiversale.
Fraction raccoglie il testimone e decide di continuare, almeno nelle premesse, sulla falsariga del predecessore, ovvero (ri)lanciando i Fab Four nello sconfinato universo alla ricerca di una cura per il degradamento cellulare (una sorta di inaspettato effetto collaterale a lungo termine dovuto all’esposizione ai raggi cosmici); la ricerca della cura viene tenuta segreta a tutta gli altri da Reed (che apparentemente è anche l’unico a presentare i sintomi del degradamento cellulare) il quale camuffa il viaggio come una avventurosa vacanza a spasso per lo spazio (e anche per il tempo) a beneficio dei bambini e di tutta la famiglia.
Sebbene le premesse siano interessanti, purtroppo nell’esecuzione Fraction non convince troppo; si ha sempre l’impressione che, forse per paura di non squilibrare troppo la trama, l’autore si limiti a fare solo piccole oscillazioni tra le ambientazioni cosmiche e le dimensioni personali di ciascun personaggio, senza mai eccedere o osare peccare di originalità in nessuno dei due ambiti.
La prima impressione che infatti si ha è proprio sulla caratterizzazione dei personaggi, che in alcuni casi sembrano essere stereotipati o addirittura fare da tappezzeria, soprattutto quando (spesso) le ambientazioni aliene sono preponderanti e ingombrano tutta la storia.
E a proposito di ambientazioni purtroppo mi viene sempre da pensare, alla lettura di ciascun episodio, che le diverse cornici cosmiche sarebbero state sicuramente meglio sfruttate da Hickman, che le avrebbe usate tutte come tessere di un enorme mosaico narrativo.
Forse il problema è proprio questo: Fraction ci va troppo cauto sotto tutti gli aspetti per paura che il suo ciclo stoni troppo con quello del predecessore, col risultato che non fa altro che inanellare una serie di quadretti autoconclusivi, piacevoli da leggere, molto ben disegnati da Bagley, leggeri, carini e che non impressionano per niente: soprattutto manca quell’azione rocambolesca e dall’esito mai scontato a cui da sempre ci ha abituato l’autore.
Probabilmente se la serie fosse stata scritta da un autore di primo pelo ne avrei avuto un giudizio assai più benevolo, ma dall’autore del “miglior Iron Man di sempre” mi aspettavo molto di più.
Voto alla serie 5

FF di Matt Fraction e Mike Allred
Ricordiamo, a beneficio di quanti non conoscono questa recente serie, che FF sta per Fondazione Futuro (Future Foundation) e racconta le storie di una scuola, estremamente elitaria e multirazziale, fondata da Reed Richards con lo scopo di radunare e far lavorare assieme le menti più giovani e geniali del pianeta, per creare, appunto, il futuro. La serie fu (ovviamente) ideata dal solito Hickman e nasceva come compendio (quasi sempre imprescindibile) delle avventure del Quartetto narrate sulla serie principale.
In questo caso, a differenza di FANTASTIC FOUR, l’avvicendamento col nuovo autore ha ben giovato alla serie che, nella sua precedente incarnazione non reggeva sempre bene il confronto con la serie madre.
Stavolta infatti Fraction sembra libero da quella sudditanza stilistica col predecessore che ha deciso di auto-imporsi su FANTASTIC FOUR e dà pieno sfogo alla sua libertà creativa, affrancando completamente le vicende della FF da quelle dei F4 sebbene le due serie muovano dalla stessa premessa narrativa.
Di fatto ci ritroviamo con Reed, per tutta la durata del loro viaggio (vedi recensione precedente), affida la Fondazione Futuro ad un riluttante Ant-Man (Scott Lang) che assembla una squadra di Fantastici Quattro “sostituti” degli originali che staranno lontano da casa parecchio più del previsto.
Fraction, su queste pagine finalmente libero dal fantasma di Hickman, crea una serie eccellente, emancipandosi da tutto ciò che ci si aspetterebbe da una normale serie del Quartetto.
Innanzitutto inverte le quote rosa canoniche (qui, al contrario dei FQ, abbiamo tre donne e un solo uomo! Poveraccio!), così facendo sovverte anche il concetto di famiglia in senso tradizionale, laddove c’è Sue a dover fare da chioccia agli altri tre, qui abbiamo Scott Lang che, tra le sue tribolazioni per la recente morte della figlia deve anche accudire una dozzina circa di ragazzi di gran lunga più brillanti e geniali di lui e, come se non bastasse, deve pure fare da balia a tre primedonne, di cui una profondamente insicura (la celebrity Darla Deering/Miss Thing), una eccessivamente sicura di sé (Jennifer Walters/She-Hulk) e una autenticamente caçaça$$i (la Regina degli Inumani Medusa). Il risultato è divertimento puro! Azione, humour, brio e tanta umanità, al punto che gli episodi più interessanti sono proprio quelli che deviano dall’azione principale per darci delle deliziose pause di riflessione.
E poi, lo so che non piace a tutti ma a me fa impazzire, la serie è disegnata da Mike Allred (e talvolta da qualche suo emulo), e ultracolorata dalla moglie Laura: le tavole sono delle vere icone POP!
Voto alla serie 7


GUARDIANI DELLA GALASSIA (contiene le serie GUARDIANS OF THE GALAXY e NOVA)

GUARDIANS OF THE GALAXY di Brian Michael Bendis e Steve McNiven (prima) e Sara Pichelli (poi)
Problema: come facciamo per rilanciare un mensile dedicato ad un gruppo di eroi che fino a qualche anno fa era considerato di secondo ordine e oggi ci dicono che dobbiamo portarlo sotto le luci della ribalta perché stanno per farci un film?
Risposta (semplice): lo facciamo scrivere a Brian Michael Bendis!
E il risultato è stato CENTRO PERFETTO (come sempre….)
Bendis ha qui ereditato una situazione dove non poteva sbagliare, per due motivi: innanzitutto perché è dotato di un talento innato nel farti sembrare totalmente nuovi quelli che sarebbero gli stessi personaggi di sempre, semplicemente perché è capace di cambiare radicalmente il punto di vista (dei personaggi, delle storie, della narrazione); in secondo luogo perché ha trovato la pappa già pronta…..tutta la faticosa opera di bonifica, riorganizzazione e rassetto del lato cosmico della Marvel è stata svolta (a mio parere egregiamente) dal duo britannico Abnett/Lanning nell’arco degli ultimi 7/8 anni, da Annihilation in poi.
A questi ultimi si deve infatti la re-invenzione dei Guardiani e l’impronta irresistibile che hanno dato alla serie, fortemente improntata sui personaggi.
Quindi Bendis non fa altro che prendere questi personaggi già così fortemente connotati e renderli ancora più forti e irresistibili, ampliando le origini dei personaggi (per ora solo Star-Lord in particolare) con sapiente uso della retro-continuity e utilizzando i nuovi elementi che introduce nel loro passato come base per gli sviluppi futuri; il tutto inframmezzato da rocamboleschi siparietti e dialoghi bendissiani e poi... tra le fila dei Guardiani adesso c’è anche Iron Man, introdotto probabilmente come esca commerciale per blindare ulteriormente la buona riuscita della serie. A qualcuno questa cosa può far storcere il muso (all’inizio anche a me) ma credetemi, la presenza di Tony Stark vi sembrerà fondamentale quando sul n. 5 vedrete Gamora cedere alle avances sessuali di Tony...
Steve McNiven non ha bisogno di lodi, perché è uno dei migliori disegnatori sulla piazza (e non sono io a dirlo) e non abbiate timore che vada via perché Sara Pichelli (applauso per la bravissima disegnatrice romana!) non ve lo farà rimpiangere neanche per un istante!
E poi non dimentichiamo che nel futuro della serie c’è Angela (sì proprio quella di Spawn!) uno dei più recenti acquisti nella scuderia dei personaggi Marvel, cosa ci combinerà quel cacchio di Bendis? Voto alla serie 8

NOVA di Jeph Loeb e Ed McGuinness
Mi dichiaro orfano di Richard Rider, il Nova originale. Mi sono innamorato di questo personaggio a partire dalla gestione Abnett/Lanning quando con gli occhi degli anni che passano, ho realizzato come fosse cresciuto l’Universo Marvel ed io con lui. Richard Rider era passato dall’essere il “Razzo Umano”, il solito adolescente timido e insicuro che faceva il paladino del bene con un secchio dorato in testa nel giardino dietro casa ad essere Nova Primo, membro di spicco di un corpo di polizia intergalattico, detentore della Forza Nova e maturato, lontano dalla propria casa e dalla Terra, una casa alla quale si rende conto di “non poter far più ritorno”.
E’ immaginabile dunque la mia reticenza verso questa nuova incarnazione del personaggio, che non è più Richard Rider (defunto alla fine di Thanos Imperative), bensì un ragazzino, Sam Alexander, figlio di un membro della sezione speciale (e finora inedita) dei Nova Corps, che hanno il casco nero invece del classico dorato e agiscono con metodi meno ortodossi.
Diciamo subito che però, a dispetto della mia iniziale ritrosia, la serie mi ha conquistato sebbene il protagonista sia, almeno teoricamente, molto più appetibile per un pubblico adolescente.
In realtà il personaggio sembra molto solido e credibile, è un ragazzino che deve fare i conti con una mamma apprensiva e una pesante eredità lasciatagli da un padre assente che, perdente nella vita reale, raccontava storie affascinanti ma apparentemente assurde sulle sue eroiche imprese cosmiche. Quando Sam scopre che suo padre è morto e che queste storie erano vere, riscopre piano piano di avere sempre amato e ammirato suo padre... e che forse non è davvero morto!
Insomma l’affiatata coppia Loeb/McGuiness colpisce nel segno e ci regala una serie densa di azione e colpi di scena, divertente e coinvolgente, una irrefrenabile cavalcata all’apparenza leggera ma in grado di regalare più di qualche momento commovente, cosa insolita per Jeph Loeb, che mi è sempre sembrato un maestro indiscusso dell’azione ma abbastanza carente di introspezione. In questo caso invece riesce a tirare dentro alla serie sia il pubblico adolescente (che può facilmente immedesimarsi col protagonista) che quel pubblico un po’ più attempato (cui appartengo) che forse si rivedono come padri attraverso gli occhi del protagonista.
Ottima serie, ma mi sento sempre orfano del vecchio Richard Rider (che volete farci sono un pochino vecchio anch’io). Voto alla serie 7


 INDISTRUTTIBILE HULK (contiene le serie INDESTRUCTIBLE HULK, RED SHE-HULK e FEARLESS DEFENDERS)

INDESTRUCTIBLE HULK di Mark Waid e Leinil Yu
Ribadisco l’ovvio: credo che, dopo Peter David, su Hulk sia rimasto davvero pochissimo, se non proprio nulla da dire.
David aveva sostanzialmente capito due cose.
La prima è che si tratta di un personaggio quasi impossibile da scrivere, a meno che non venga utilizzato come pretesto, o piuttosto come allegoria, per raccontare qualcos’altro.
L’altra cosa che aveva capito è che per far funzionare il personaggio bisogna farlo agire in gruppo: solo le dinamiche corali e le emozioni/reazioni di altri personaggi danno senso e significato alle azioni del Gigante di Giada. Questa cosa è stata anche dimostrata al cinema: entrambi i film dedicati a Hulk in solitario (usciti nel 2003 e nel 2008) sebbene interpretati da attori diversi e con regie completamente differenti non hanno convinto il pubblico, mentre in Avengers il personaggio è risultato uno dei più riusciti, secondo forse solo ad Iron Man.
Consiglio a tutti la lettura dello splendido volume HULK: THE END, di Peter David appunto, per capire in fondo quello che sto dicendo.
Ma veniamo al presente (Marvel NOW appunto).
Dopo una decina di anni in cui gli autori hanno fatto fare ad Hulk veramente di tutto, tentando declinazioni di generi diversi e con risultati molto altalenanti e discutibili (le cose meglio riuscite sono a mio avviso Planet Hulk, una storia appunto corale e Hulk Rosso, che NON è Hulk!) arriva Waid e, semplicemente, decide di risolvere l’eterno conflitto Banner/Hulk. Almeno da un punto di vista narrativo, alternando il fisicamente ingombrante Hulk con una cosa altrettanto ingombrante: l’ego di Bruce Banner.
Il problema era proprio questo, e cioè che dopo Peter David gli autori hanno tendenzialmente  rappresentato sia Hulk che Banner come due creature puramente reattive, il primo perché essenzialmente è una bestia, il secondo perché era essenzialmente succube di quella bestia. E quindi nelle sue storie non poteva mai succedere nulla di nuovo (ve l’immaginate quanto può essere interessante una serie mensile che ha come protagonisti un cane rabbioso tenuto in gabbia e il suo guardiano che lo guarda terrorizzato tutto il giorno?). 
E quindi che fa Waid? Ci propone un Banner proattivo, dall’ego smisurato, machiavellico, controverso, che pianifica quasi fosse un supercriminale (e chi ci dice che non lo sia?) e che usa Hulk, invece di averne paura.
Contemporaneamente (lezione n.2 di Peter David) inserisce il protagonista in un contesto corale (lo S.H.I.E.L.D.) e lo pone a capo di un team di scienziati molto ambiziosi (ma anche molto nervosi all’idea di lavorare in un angusto laboratorio a contatto con una bomba vivente).
Attenzione: sulla carta queste premesse paiono ottime e mi garbano pure tanto ma non mi sembra che Waid le stia spingendo con troppo entusiasmo, preferendo forse in via prudenziale dare più spazio ai disegni di Yu, che sono davvero di altissimo livello e scegliendo, nel secondo arco narrativo, di puntare sulla presenza di un comprimario di grido (Thor) e sulle tavole spettacolari di una guest star d’eccezione come Walter Simonson. Si consiglia a Waid di cominciare ad osare un tantinello in più, altrimenti la serie da nuova e INDISTRUTTIBILE tornerà ad essere come la vecchia INCREDIBILE per poi finire diventando come al solito INVENDIBILE. Voto alla serie 6

RED SHE-HULK di Jeff Parker e Carlo Pagulayan
Personalmente credo che gli Hulk Rossi siano la migliore (anzi mi correggo: l’unica vera) innovazione nell’Hulkafamiglia da parecchi anni a questa parte.
Entrambi i personaggi, il generale Thunderbolt Ross (Hulk Rosso, nonché ex-nemesi di Banner/Hulk) e sua figlia Betty (She-Hulk Rossa, nonché ex-moglie di Banner/Hulk) hanno secondo me tantissimo potenziale poco sfruttato, essi infatti incarnano degli aspetti “hulkiani” non convenzionali, in netta contrapposizione a quelli canonici delle loro controparti verdi.
Infatti se Hulk Rosso conserva lucidità e intelletto anche se trasformato (a differenza di banner), il contrario avviene per She-Hulk Rossa che (a differenza di Jennifer Walters) perde progressivamente i freni inibitori una volta trasformata.
Quindi mi aspetterei (abbastanza ragionevolmente) che una serie dedicata alla Gigantessa di Fuoco sia composta essenzialmente di: azione sfrenata, colpi di scena, un po’ di introspezione, tanti comprimari, relazioni umane, gnocca e, perché no, anche sesso.
E invece cosa abbiamo qui? Una trama piatta e inconcludente raccontata in maniera pesante, con decisamente troppo testo (spesso banale e stucchevole) e senza una direzione chiara.
Le storie sono faticose da leggere, lo storytelling manca di perizia perché è troppo centrato sui dialoghi (insipidi, lunghi e spesso puramente didascalici) anziché sulla scansione delle scene, c’è un solo comprimario, X-51/Machine Man, che qui si limita a incarnare il fesso stereotipo del robot/coltellino svizzero, la protagonista è assolutamente priva di qualsivoglia caratterizzazione, non c’è traccia di nessuna umana contraddizione né l’ombra di un dubbio.
A tutta questa illeggibile piatta pesantezza Jeff Parker ci aveva già abituato quando, nella precedente incarnazione della serie, narrava le vicende di Hulk Rosso, pensate addirittura che una volta saltai (involontariamente) la lettura di un numero e non me ne accorsi neanche….
E poi i disegni…..sono davvero brutti! Ma come, abbiamo la possibilità di disegnare una supergnocca e ci mettiamo uno che ce la mette tutta (ma proprio tutta!) a fare volti inespressivi e a non ingarrare UNA proporzione anatomica!  
Ma qui ci vorrebbe un autore sensuale, che faccia veramente esplodere la carica e la prorompente fisicità della protagonista: ci voleva, che so io, un Deodato Jr., un McGuiness, un Cho, un Dodson, un Adams…anche solo per i primi numeri, giusto per rilanciare in grande stile. Voto alla serie 3

FEARLESS DEFENDERS di Cullen Bunn e Will Sliney
Anche qui abbiamo a che fare con una serie imperniata sulla gnocca, stavolta al plurale. Valchiria, notevolissima stanga nordica, si accolla infatti il difficile compito di assemblare una squadra di donne con gli attributi, praticamente un ginepraio di divoratrici di uomini.
Le copertine sono davvero belle, anche qui la Marvel gioca a catturare la nostra attenzione abbinando idee di design a qualche ammiccante decimetro di pelle.
Peccato che, dietro le copertine, ci sono delle storie molto discutibili.
Innanzitutto l’idea di base è ripetitiva: su queste pagine Cullen Bunn riprende il personaggio di Valchiria protagonista della sua precedente serie THE FEARLESS mostrandoci un sapiente uso del copincolla, riproponendoci una storia del tutto simile, con la stessa protagonista, impegnata in una analoga ricerca dal sapore ancestrale, che affronta avversari di provenienza ugualmente asgardiana e che saltuariamente si allea con altre donne guerriere.
La narrazione è scattosa, con troppi repentini cambi di scenario, inframmezzati da azione un tantinello annacquata; la sensazione è proprio che l’autore stia volontariamente allungando il brodo (forse per carenza basilare di idee?) in ogni modo possibile e di conseguenza, proprio come su FEARLESS, anche qui si fatica a seguire il filo logico della trama e ancora peggio non si capiscono le motivazioni dei personaggi, forse proprio perché l’autore non si spreca troppo a caratterizzarli. I dialoghi sono spesso monotoni, quasi privi di personalità e contribuiscono a far appisolare il lettore (almeno questo lettore che scrive). I disegni sono carini ma niente di particolare, con tutta quelle belle figure femminili da rappresentare potevano chiamare qualcuno meglio di uno che si limita a fare la brutte copie di Mark Brooks che ai suoi tempi esordì facendo le brutte copie di Mark Bagley. Voto alla serie 4


DEVIL E I CAVALIERI MARVEL (contiene le serie DAREDEVIL, PUNISHER WAR ZONE e THUNDERBOLTS)

DAREDEVIL di Mark Waid e Chris Samnee
Quali apprezzamenti posso aggiungere io alle centinaia di lodi intessute dappertutto, cosa posso dire io in più che non sia stato già eloquentemente analizzato dalla stampa specializzata, cosa posso fare io più degli altri per convincervi a leggere questa serie vincitrice dell’Eisner Award 2012 come miglior serie e come miglior sceneggiatore? (veramente ha vinto anche come miglior episodio singolo, il n.7, ma è precedente al Marvel NOW).
Posso solo dire che questa serie è deliziosa, coinvolgente e commovente.
I personaggi sono tratteggiati da Waid in maniera magistrale, la trama e la scansione sono in equilibrio perfetto, scandite dosando sapientemente l’azione e l’introspezione, i dialoghi e i colpi di scena.
L’impressione generale che si ha è di star leggendo un fumetto armonioso, in cui sceneggiatura e disegni sono così sapientemente intrecciati e inscindibili, da far dubitare che sono il frutto di due persone distinte.
Non voglio dilungarmi troppo ma darvi solo un consiglio; se siete di quelli che per qualche motivo si reputano troppo intelligenti per leggere fumetti di supereroi, o pensano di avere un palato troppo fine per trovare qualcosa di buono in mezzo alle banalità che la Marvel produce, se siete di quelli che “no per me un fumetto è bello solo se scritto bene” o di quelli che “no per me un fumetto è bello solo se disegnato bene” allora vi prego, non leggete questa serie, che è adatta solo a chi vuole sognare ed emozionarsi nella lettura, perché questo gli dà piacere.
Ecco, in una sola parola, la lettura di questa serie è piacevole, di più non voglio dire. Voto alla serie 9

PUNISHER WAR ZONE di Greg Rucka e Carmine Di Giandomenico
Innanzitutto questa non è una serie regolare bensì una miniserie in 5 parti e proprio a tal proposito apprezzo il buon gusto degli autori che hanno condensato in uno spazio narrativo limitato una storia che è a mio avviso un piacevole divertissement. In poche parole la storia è tutta un avvincente pretesto per mostrarci come Frank Castle riesce a tenere testa pure ai Vendicatori, che hanno deciso di dargli una regolata, con esiti anche brillanti (una su tutte quella con l’armatura di Iron Man).
Molto ben scritta, coinvolgente e in diversi momenti appassionante, la storia è egregiamente disegnata dal nostro Carmine; tutto ciò rende questa miniserie una piacevole sorpresa nel panorama spesso mediocre del Punisher post-Garth Ennis/MAX.
Voto alla (mini)serie 6

THUNDERBOLTS di Daniel Way, Steve Dillon (prima) e Phil Noto (poi)
Quando penso ai Thunderbolts non riesco a togliermi dalla mente il ciclo di Warren Ellis e Mike Deodato Jr. in cui l’arma più potente ed efficace del gruppo era la dilagante follia di Norman Osborn.
Quelli sì che incarnavano in pieno l’idea della squadra di lupi travestiti (e anche poco) da agnelli, poi dopo c’è stata la parentesi buonista/paternale della gestione Luke Cage (scritta da Jeff Parker e a mio avviso un pochino mediocre) in cui i membri erano nulla più che semplici eroi un po’ più riluttanti del solito ed adesso questa nuova incarnazione.
La nuova squadra, assemblata dall’autore Daniel Way, vede al comando Hulk Rosso (alter ego del razionale e fine stratega generale Thunderbolt Ross) e un manipolo di personaggi diversamente disturbati, tutti con qualche affinità militare: il Punitore (il soldato per definizione), Deadpool (il mercenario chiacchierone), Elektra (la ninja letale) e l’Agente Venom (veterano di guerra).
Sulla carta questa squadra presenta indubbiamente spunti interessanti ma la trama e lo sviluppo di Way non convince; dopo i primi due/tre numeri in cui il racconto del reclutamento è ben scritto e scandito alla grande dalla matita di Dillon (maestro del grottesco) la serie cola a picco verso l’inconcludenza.
Ho trovato tutta la trama successiva ostica alla comprensione e i colpi di scena un po’ forzati (dopo Hulk e She Hulk Rossi pure il Capo Rosso mi sembra troppo); credo infatti che Way sia ancora abituato alla scrittura di Deadpool, in cui l’unica cosa che contavano erano le gag isolate e non era importante se le storie avessero un capo e una coda tanto il personaggio vendeva a prescindere.
Poi la preminenza, sia fisica che narrativa, di Hulk Rosso rende la serie monotona, il buon generale appare qui come un manipolatore piuttosto che come un leader vero e proprio (come erano a loro modo Osborn e Cage) e il suo approccio razionale è troppo prevalente su quello degli altri con la conseguenza che le naturali frizioni che ci si aspetterebbe tra personaggi del genere (e che costituirebbero il sale della lettura) sono insipide ed edulcorate.
Prendendo ad esempio il personaggio di Venom, il suo punto di vista non aggiunge e non toglie nulla alla narrazione, sembra addirittura che stia lì senza un preciso motivo a far da tappezzeria.
E poi trovo la relazione sessual-sentimentale tra Elektra e il Punitore veramente poco credibile: ma come è possibile lei non era attratta solo dai bravi ragazzi alla Matt Murdock? E lui non era una specie di soldato-monaco-frigido col fucile? E poi spiegatemi perché Deadpool, folle e imprevedibile, dovrebbe sviluppare due sentimenti talmente prevedibili come l’infatuazione e la gelosia per la bella ninja... ma dico io se decidi di scrivere una cosa del genere vuoi almeno perderci un pochino di tempo in più a costruirla in maniera credibile e non limitarti a buttarla lì e basta? Giusto per riempire le pagine?
Non è un caso che la serie abbia da poco visto un avvicendamento d’autori, dal numero 12 vedremo Charles Soule prendere le redini delle sceneggiature (speriamo bene). Voto alla serie 4


Andrea Avolio

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