Ne ho parlato diverse volte (QUI tutti i post con tag reso), d'altronde è un tema caldo ed uno degli argomenti cui è votato un blog che si chiama "Come se fosse Antani..." ma che si scrive "prontiallerese.blogspot.com". Ma ora lo voglio affrontare per bene ed in modo definitivo.
Premessa: il sistema del reso è quello normalmente in vigore nelle librerie di varia. Semplificando: il libraio acquista la merce, e può "darla indietro", ottenendo un credito da scalare dal proprio debito col fornitore. Nel settore librario è la regola, ma va detto che, legalmente e merceologicamente parlando, la fumetteria è una libreria...
Nel mondo magico, divertente e burlone del fumetto, invece, il reso non c'è. Alcuni grossisti lo concedono in piccola percentuale e solo sui loro esclusivisti, oppure in modo episodico, ma non c'è una vera e propria regola generalizzata. Anzi: sembra che alcuni lo nascondano, e tendano a non pubblicizzarlo... sia mai che poi, qualche negozio, abbia l'idea di sfruttarlo!
Tutto il sistema si regge sulle fumetterie che comprano in conto assoluto: quando un editore dice di aver venduto 348 copie di un proprio fumetto, dovrebbe ammettere di averlo fatto ALLE FUMETTERIE, non al pubblico. Magari, la metà di quegli albi sono ancora sugli scaffali dei negozi, che non rischiano, non investono. E non possono crescere.
Si leggono molti commenti negativi da parte di diversi editori sull'operato delle fumetterie. Secondo una tesi molto in voga, tanti negozianti non ordinano che materiale su richiesta, snobbando albi che, in altri circuiti (sito dell'editore, fiere, librerie di varia) venderebbero tantissimo.
Il discorso è complesso, e meriterebbe ben altri spazi. Sono ben conscio del fatto che i librai non sono perfetti, anzi, il loro operato è criticabile sotto molti punti di vista.
Ma, prima di fare una critica alle abitudini altrui, sarebbe necessario guardare alle proprie, che sicuramente sono più facili da correggere: i fattori che portano l'editore a ritenere che “in altri circuiti” si vende di più, sono legati a diversi elementi. La vendita diretta, spesso, avviene con scontistiche di vario tipo, che la fumetteria non può proporre. Negli appassionati si ingenera così l'abitudine ad acquistare presso il sito dell'editore o dell'autore, quando non, sempre presso gli stessi, in fiera. Al contempo, il negoziante, che non conosce tutto lo scibile del fumetto, si “abitua” a non ordinare cose del tale editore, vedendo che non le vende.
In fiera, poi, le cose sono totalmente diverse: anche nella manifestazione più piccola, passa molto più pubblico in un giorno che in negozio in un mese. E lo fa con l'intenzione di spendere, con un budget -spesso prefissato- dedicato alla spesa fumettistica. In negozio no: il cliente entra, e va diretto a quello che vuole. E spesso si ferma a quello, passando oltre davanti ad offerte, cartelli. Una volta mi sono divertito a mettere un ostacolo con sopra un cartello: macché, ignorato pure quello.
E, poi, diciamocelo: ogni editore si stupisce se non vendi i SUOI fumetti, che ritiene essere sempre i migliori. E se non ne vendi TANTI. E il "suo" TANTO è sempre maggiore del "tuo" DISCRETAMENTE.
Ma il mercato delle fumetterie è ancora buono per i preordini: l'editore sa che quelle x copie, una volta ordinate, sono vendute. Non gli interessa promuoverle, o vedere se arrivano ad un cliente finale, invece di marcire in un negozio: sono “vendute” (traduzione: “FINE della mia attività di editore”). Tornando al discorso di prima, se ogni fumetteria ha in giacenza UNA copia di un volume, ci sono circa due-trecento di quei libri invenduti in giro per l'Italia: una enormità, con le tirature attuali. Ma una copia può essere “assortimento di magazzino”, fa"catalogo". Quando ne hai due o tre, e soprattutto sono in giacenza da anni, diventano “soldi bloccati”. Buttati.
Cosa c'entra il reso con le possibilità di crescita di una libreria a fumetti?Un semplice esempio, con cifre assolutamente casuali.
Una fumetteria compra ogni mese diecimila euro di fumetti, e ne vende dodicimila.
Duemila è quindi il "guadagno" della vendita, da cui sottrae tasse, affitto e spese: diciamo mille euro.
Il guadagno vero, quindi, è di mille.
Se c'è un momento di difficoltà, il libraio agirà tagliando gli ordini "rischiosi".
Nei momenti di normalità, dovrà comunque investire sempre con oculatezza, rischiando il minimo, ma in quelli di crisi il piccolo azzardo può diventare una trappola, e passerà dal comprare ciò che presume di poter vendere, a ciò che è certo di vendere.
Sa bene che, se acquista per incrementare il magazzino, quella fetta di spesa va ad incidere sul suo utile, e che cammina su una linea sottile, non potendosi permettere rischi.
Se introduciamo nell'equazione il reso, ecco cosa cambia.
Il libraio, nella nostra equazione molto semplificata e con numeri assolutamente casuali, inizierà a rendere mille euro di materiale al mese.
Il primo ed il secondo mese, il suo risultato sarà sempre lo stesso, perché la resa ha tempi tecnici, ma lui continuerà a rendere mille euro di invenduti al mese.
Ad un certo punto, tutto cambierà: ai dodicimila di vendite, sottrarrà quanto deve al distributore/grossista, ovvero i soliti diecimila euro MENO, però, i mille euro di note credito per il reso. Passerà, quindi, dal guadagnare mille euro (2mila meno tasse e spese) al doppio, 2mila (3mila lordi, meno tasse e spese): contento, comprerà una tv nuova, andrà a DisneyWorld, il secondo mese a Gardaland, il terzo ai Prati di Stroncone (nota località turistica vicino Terni) a fare una grigliata con gli amici.
Il quarto mese si chiederà come può migliorare la propria condizione lavorativa, visto che ora ha dei soldi da investire.
Ed inizierebbe a farli fruttare.
Potrebbe prendere titoli che giudica buoni e vendibili, che magari conosce, ma che non ha mai tenuto perché non aveva il reso. Potrà organizzare incontri con autori, rinnovare il negozio (mobili, allestimenti), potrà fare pubblicità. Il tutto con oculatezza, perché non è che il reso ti paga le bollette e lo stipendio.
Ma, utilizzando questo sistema, il libraio ha la possibilità di far ruotare il magazzino, e di far rientrare parte del capitale speso ed immobilizzato.
Perché, ricordiamolo: se ogni anno aumentiamo ciò che abbiamo in magazzino, non facciamo altro che trasformare parte del nostro utile in merce. Merce che non possiamo rendere.
Ultima considerazione: le ristampe.
Coi moderni metodi, ristampare costa molto meno di un tempo. Basta arrotondare un po' il prezzo, diciamo di un 10-15%, e l'editore ha la possibilità di rieditare un volume, e ridistribuirlo. Solo che, copie della prima edizione di quel volume, magari, sono ancora "in giro" per il sistema librario. Il reso permetterebbe, forse, di risparmiare qualche ristampa, facendo girare quelle copie, perché non tutto si vende allo stesso modo nelle diverse zone del paese. Anzi.
Discorso semplice e lineare. Perché, quindi, non abbiamo il reso?
Perché ci sono dei costi? Ma se gli sconti che abbiamo sono simili a quelli delle librerie di varia, al massimo si parla di due o tre punti in più di media, quale è il vantaggio nel sistema di vendita delle fumetterie?
Negli USA non c'è reso, ma gli sconti sono (molto) più alti.
A vederla così, sembra quasi che tutto vada a vantaggio del grossista/editore.
O no?
Se volete approfondire il discorso, ma su un ambito più mirato verso Meli Comics,
leggete qui.