martedì 15 ottobre 2024

Fenomenologia del Lake Como Comic Art Festival #1721

Reportage dell’inviato Sabino Capogreco

Intro

Da quando esiste (2018) il Lake Como Comic Art Festival (“LCCAF”) non è passato anno in cui, all'annunzio dei vari ospiti (anzi degli ospitoni), non si sia stato lì a chiedermi se andare o meno, se quel tale autore (anzi autorone) sarebbe mai tornato in Italia, e se, più in generale, la malattia del collezionismo dovesse prendersi anche queste (ulteriori) risorse a discapito della vita reale.

Non avendo fonti di prima mano da cui attingere notizie, delegavo di anno in anno l'acquisizione di ulteriori elementi di valutazione a commenti e reportage web, trovando – come sempre accade – solo mitomani e marchette.

Fino alla scorsa edizione ho sempre desistito dal proposito, poi, il 4 novembre 2023 sono andato a Lucca. Il 5 novembre non avevo più dubbi: sarei andato al LCCAF 2024. Le conclusioni le avrei tratte e redatte io stesso in prima persona.


La nevrosi comparativa

Potrei aver dato l'impressione che mi accingo a propinare un nuovo pistolotto comparativo tra le convention. No. Sono due eventi completamente diversi e preciso, in proposito, che i miei interessi sono totalmente centrati sui comics. Questi e solo questi mi portano alle volte a fiere ed eventi.

Lucca è oggi, come quasi tutte le consorelle nazionali, europee e statunitensi, un'orgia di cultura pop e intrattenimento onnicomprensiva in cui trova spazio, poco o tanto che sia, anche il fumetto. LCCAF è “solo” una vasta, autorevolissima, artist alley di disegnatori di comics (principalmente ma non solo). Niente mostra mercato, antiquariato, manga, merchandising, case editrici che presentano cose, action figures ecc. Ci sono solo artisti e “original art” realizzate in loco su richiesta o già pronte (altre commission, tavole originali). Stop. La manifestazione è rivolta unicamente a chi ha interesse per questo tipo di costosa mercanzia e – unico altro punto di contatto con le convention fumettistiche ordinarie – per la possibilità di far autografare i propri albi.

Perché ci ho ficcato dentro Lucca, allora? Perché l'ultima visita lucchese ha risolto l'annosa valutazione costi-benefici della trasferta comasca.


Once upon a time in Lucca

Sono stato a Lucca due volte e da vecchio. Non ho memoria o cognizione dei bei tempi che furono, quando la manifestazione si teneva al “Palazzetto”, c'erano quattro gatti dediti solo ai fumetti e si poteva perfino prendere in braccio Andrea Pazienza. Mi sono mobilitato per Miller (2016) ed Ennis (2023) a ciò indotto dalla consueta domanda: “E quando lo ribecco questo in Italia?”. Entrambe le volte avevo i requisiti per prendere parte alle signing session, eppure, viaggio a parte (a/r stesso giorno da VR, cioè Vicino Roma), mi sono sempre fatto un culo come Porta Pia. Difficoltà deambulatorie nel sovraffollamento generale, attese interminabili, file che, sebbene contingentate, restano lunghe e faticose (da Garth avevo tonnellate di omnibus che in parte ho destinato alla rivendita e nessuno si azzardi a farmi la morale). Alla fine della fiera ho riportato a casa, stremato, alle 2,30 di mattina (esattamente 26 ore dopo la partenza), sei firme di un solo grande autore su 20 chili di fumetti faticosamente trasportati e preservati tra la calca e la pioggia.

È qui che mi sono messo a quantificare quell'immane fatica. Quanto sarei stato disposto a pagare per ridurla al minimo e giungere ad un risultato certo e superiore in termini di pluralità di grandi autori? La risposta è stata: Como, biglietto singolo giorno (€ 195).

Non mi soffermo sulle spese di vitto e alloggio. Posso solo confermare quanto detto a chi ho cercato di coinvolgere nell'impresa: si tratta di cifre neanche lontanamente paragonabili a quelle della settimana lucchese. Esistono sistemazioni per tutte le tasche, anche molto prossime all'evento, senza prenotare secoli prima e si parcheggia ovunque con facilità. Questo perché la chicchissima Cernobbio, evidentemente, non vive di Nona Arte o solo di questa.


Psychonerdismo uguale e contrario


Quelli nella foto (sopra) sono circa la metà degli psychonerd che hanno preso parte alla prima giornata del festival. Erano per la maggior parte stranieri, soprattutto americani. Alcuni di essi mi riferivano di essere venuti o ritornati al LCCAF perché insofferenti alle loro Lucche! Alle levatacce, alle file interminabili che anche da loro, pur prevedendo da secoli anche il pagamento dell'autografo/sketch, vengono spesso vanificate dall’alta affluenza.

Se io ero lì per Sienkiewicz o JR Jr (“E quando lo ribecco questo in Italia?”) essi si erano mobilitati per gli “internationals” locali chiedendosi: “E quando lo becco questo fuori dall’Italia?”. I più appetiti in tal senso erano Dell’Otto (su tutti), Checchetto (che loro chiamano “Ceccettow”) e il residente acquisito Bermejo. L’accodamento precoce all’entrata (apertura ore 10) era appunto per riuscire a prenotare le poche commission che gli artisti accettavano di completare nei due giorni della manifestazione.


Commission e tavole

Costano tanto, come al di fuori del LCCAF, forse (quelle già pronte) meno (ipotizzo) perché si comprano direttamente dell'artista senza passare dal dealer. Per i prodotti di rango subordinato, su cui vige massima incertezza terminologica, le tariffe erano molto variabili. Il “doodle” o scarabocchio veniva talvolta fornito a corredo dell'autografo. Lo “sketch” o schizzo lo si poteva pagare da 30 in su ma, per esempio, quelli che David Finch chiamava sketch erano in realtà meravigliosi disegni fatti e finiti. Alcuni autori particolarmente signorili (Cho, Maleev, Mack), su richiesta del fan, riproducevano sull'albo appena sottoscritto miniature molto molto graziose e significative. Poi c'erano i “remarks” o “remarques” o “qualcosa che è un po' più di uno sketch e molto meno di un disegno compiuto”, orientativamente tra la piottazza e i suoi multipli, a seconda. JR Jr. offriva ottimi remarks a 70 sacchi e per 250 dei capoccioni su foglio A3. Bill Sienkiewicz offriva remarks a 167 euro, che sembra tanto ma egli è Sienkiewicz e, una volta che aveva scaldato la mano, in un paio di minuti tirava fuori della roba completamente pazzurda.


Bill & John


Apro una partentesi sui due grandi maestri americani (foto sopra). Hanno fatto (non solo loro ma sicuramente più degli altri) una fraccata de sòrdi (soldi, ndr) meritandoseli ampiamente tutti. JR Jr non si è mai allontanato dal suo tavolo e si è concesso illimitatamente a tutti sempre con la massima simpatia.

A Bill ho visto affrescare un paio di Elektra a cui mancava solo il dono della parola. Alla domanda, posta non proprio in questi termini, “ma non ti sei rotto il c@770 di disegnare sempre Elektra?” ha risposto che una volta metteva un limite a 50 Elektre, adesso non più, ma solo perché adopera ogni volta una tecnica diversa. Nella foto (sotto) sta elektrizzando (per 1500 euro) la tipa nella immagine sul cellulare. Al momento non siamo neanche a metà dell'opera. Ci avrebbe aggiunto una quantità spropositata di pigmenti di ogni natura dal bianchetto ai fazzoletti imbevuti in acqua al ragù di cinghiale. Il risultato finale non ho avuto nemmeno il coraggio di fotografarlo. Grava, per altro, sulla mia coscienza il rimpianto per non aver commissionato un remark di Moon Knight al detto corrispettivo di 167 sacchi.



Noi coi soldi loro

Non ha cittadinanza in questo contributo la mentalità svoltona del collezionista di strada perché, ribadisco, la logica di quanto scrivo è proprio quella di sostituire il denaro alla strategia del logoramento fisico. Vengono quindi necessariamente a cadere anche argomentazioni pelose tipo: evvabè ma che ce vole a mette na firma oh!; ‘JR Jr 24’ sono 4 lettere e 2 numeri!; 167 euro? Ma c’avrà messo cinque minuti al massimo! Ho letto di recente in uno di quegli stati WhatsApp tesi a ispirare chi non ha nulla di meglio da fare che guardare stati WhatsApp: Bill Gates avrebbe spiegato che all’esperto non paghi tanto l’intervento che è durato poco ma tutto il lungo percorso formativo che gli ha consentito di metterci poco. Ecco, lo stesso discorso vale per i fumettieri. Inoltre, anche al di fuori dei nostri beneamati fumetti, prendiamo atto che la nostra (teorica) magnanimità emerge sempre quando immaginiamo di disporre dei soldi e del talento degli altri.


Autografi

Pur previsti e ambiti dai collectors, sono la merce meno preziosa del LCCAF. Si pagano a seconda della finalità (gradazione o meno) e della volontà dell'autore. In molti apponevano “raw signatures” (cioè non CGC) gratuitamente (tra essi: Dodson, Cho, Ribic, Maleev, Cheung, Quitely, Harris), altri chiedevano 10 sacchi (tra essi: Asrar, Finch, Lozano, Fabry, Vess, Mack). Sopra la media Bill Sienkiewicz (€ 27) e JR Jr (€ 30). Durante l'happy half hour quotidiana le firme “raw”, in quantità stabilite dall'artista, erano gratuite presso tutti ma, salvo eccezioni, la sessione era contemporanea per tutti, il che ha costretto taluni soggetti con meno esperienza a sofferte scelte di vita e convenienza, soprattutto se muniti del biglietto singolo giorno.

Ad ogni modo, per tornare alla logica contro-lucchese sopra descritta, gli artisti “a disposizione” dalle 10 alle 18 per 2 giorni erano 64 (22 quelli da me puntati), talvolta a pagamento (da considerarsi surrogato dell'acquisto di fumetti dell'editore ospitante nelle fiere tradizionali). I fan circa 500 da distribuire tra gli autori di loro interesse in momenti diversi. Nessuno si è picchiato per un posto al sole o ha atteso, nella peggiore delle ipotesi più 40 minuti.

Nella foto sotto il mio “Amore e guerra” (Grandi Tesori Marvel) autografato col bianchetto da Bill Sienkiewicz.



Modalità operative di partecipazione

Da Garth portai 20 chili di roba ed era la mia unica signing session. Come sottoporre una mole di roba molto superiore ad una ventina di diversi artisti? Pensavo di dare in culo a tutti semplicemente parcheggiando la macchina stracarica nelle vicinanze di Villa Erba e fare avanti e indietro con due normali zaini. Così ho fatto ma ho faticato non poco per percorrere ogni volta il parco della Villa fino all'ingresso e perdendo nel transito tempo prezioso di accodamento da questo o quell’autore.

Ho notato, invece, il maggior comfort (figlio dell'esperienza) di chi si muoveva all'interno della convention trasportando tutto l'autografabile dentro valigie trolley anche di grandezza “shuttle” (vedi foto sotto). La viabilità era agile e per tirare fuori/riporre la mercanzia ci si poteva appoggiare un po' ovunque negli ampi corridoi. Gli americani, che non stanno impallinati come noi coi formati hard-back e oversize (omnibus, absolute, ecc.) o semplicemente non volevano/potevano aviotrasportarli, erano perlopiù muniti di scatole di scarpe colme di classici comic books spillati 17x26cm (prevalentemente incentive variant, mica pizza e fichi).


Conclusione

Il collezionista è un maniaco del possesso che persegue “il valore” fine a se stesso o per collocarlo presso terzi (questa definizione è mia e intraprenderò tutte le azioni necessarie per ottenerne il riconoscimento). Da collezionista, nei termini appena detti, la spesa è valsa l’impresa, essendo a questo punto chiaro che per ottenere risultati collezionistici vagamente analoghi occorrerebbero tante convention tradizionali, coi rispettivi costi e disagi, da presenziare in diversi anni.

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