WHO'S WHO IN THE THUNDERMAN UNIVERSE (Parte 3)
ESTRATTO DA “WHAT WE CAN KNOW ABOUT THUNDERMAN” (da ILLUMINATIONS di Alan Moore, 2022).
a cura di Sabino Capogreco
17. (Dicembre 2012)
Ultimi pensieri: l’intervista a Denny Wellworth
[…]
WHEEMS: Dove pensi che il settore dei comics abbia sbagliato?
WELLWORTH: Più che altro penso che non ne abbia mai fatta una giusta fin dall'inizio. Voglio dire, quando i comics nacquero erano visti come robaccia usa e getta per fare felici le classi meno abbienti. Suppongo che l'idea alla base fosse che i poveri erano stupidi, infantili e che non avrebbero compreso la narrativa se non avesse avuto delle illustrazioni. Ed io sto parlando delle strisce sui giornali, ben prima che il comic book fosse un bagliore predatorio nell'occhio di Albert Kaufman. Quindi, quando comparvero, i comics erano destinati a quella stessa classe sociale ed anche la maggior parte dei suoi massimi talenti provenivano dalla quella classe sociale. Quando rubarono Thunderman a Kessler e Schuman, Kaufman e Rosenfeld fondarono l'industria dei comics facendo del contrabbando il suo modello di business, cosa pressoché valida anche oggi: trova qualcuno dotato – Kessler e Schuman, Robert Novak, Sherman Glad, Joe Gold, Slim Whittaker, ecc. – poi gli sottrai con l'inganno le sue creazioni e lo scarichi. Se sono artisti della classe operaia come, beh, tutti quelli che ho citato, allora sarà più semplice truffarli perché non sono certo cresciuti in famiglie che hanno avuto a che fare con avvocati, contratti e percentuali. Li freghi, li scarichi, prendi altre persone a scrivere e disegnare i loro personaggi, poi sfrutti la proprietà per tutto il suo valore fino alla fine dei tempi. Ecco come funziona, no?
WHEEMS: Se 'funziona' è il termine giusto, non sembra che stia funzionando molto bene attualmente, a giudicare dalla situazione.
WELLWORTH: Sì, beh, questo è perché l'industria dei comics ha fatto lo stesso stupido errore che hanno fatto tutte le industrie, ossia supporre che la risorsa che sfruttano sia infinita e inesauribile. Hanno pensato di poter bastonare e derubare Joe Gold impunemente perché sarebbe arrivato un altro talento altrettanto bravo e derubabile entro un paio di anni. Tu ed io sappiamo che quando il sole sarà vecchio e fioco ancora non ci sarà stato un altro Gold, ma i dirigenti non sono dei creativi e non hanno mai capito la cosa più importante su come gli artisti lavorano. Quindi, nel momento in cui non esce fuori un nuovo Joe Gold, affidi i suoi titoli ad artisti che possono fare pallide imitazioni dello stile di Gold ma che non sanno inventare una sola cosa che sia nuova. Quando non c'è sostituto per Sherman Glad […] rimangono solo i fan entusiasti che hanno assunto per sostituire Sherman, Heinz Messner e tutti gli altri […]. Questi qui non sono artisti, non sono scrittori, sono fan di artisti e scrittori, e la generazione che verrà dopo di loro saranno fan di fan e così via fino al casino insensato di oggi.
[...]
WHEEMS: Sai, quando iniziai a leggere i comics avevo, qualcosa tipo 12 anni o giù di lì [...] all'epoca se nominavi i comics a qualcuno questi non avrebbe automaticamente pensato che stessi parlando di un solo genere, quello dei supereroi. C'erano storie horror, di guerra, science fiction e decine di altre tipologie di storie. Come è stato possibile che i supereroi siano diventati dominanti nell'industria?
WELLWORTH: Non ne ho idea. Ho sempre fatto del mio meglio per evitare questa cazzo di questione. Che cos’hanno i supereroi? Vediamo. Sono un fenomeno autoctono americano che non ha mai fatto presa altrove. È qualcosa che emerge naturalmente dalla nostra cultura. In parte penso che vengano dal nostro diritto, garantito a livello costituzionale, alla furtività. Tipo che, se intendi fare qualcosa che può presumibilmente metterti nei guai, allora è meglio che lo fai con una maschera sulla faccia o vestito come qualcun altro o entrambe. Se è il Boston Tea Party ci vestiamo da Indiani Pellerossa. Se è una fiaccolata del Klan ci vestiamo da fantasmi. Quindi, se ci autoproclamiamo vigilanti con un debole per la violenza ai danni delle classi inferiori, viene naturale vestirsi da volpi, scarafaggi, api, cani da attacco (nel racconto Beetle Boy “Ragazzo Scarafaggio” è Spider-Man, King Bee [letteralmente “Ape Re”] è Batman, Rottweiler è Wolverine, ndt) o, non so, ornitorinchi e chissà cos'altro. Poi c'è anche la nostra attitudine alla violenza. È una nazione in cui, fin dai tempi della frontiera, nessuno si fida di nessuno e dormiamo con la pistola sotto il cuscino. Il nostro modo ideale di risolvere una situazione è sparare a qualcuno in un’imboscata. Non amiamo i conflitti in cui non abbiamo qualche sorta di vantaggio tattico, quindi la fantasia supereroistica di essere indistruttibile o avere grossi denti retrattili d'acciaio è abbastanza rassicurante. Sono la vita che sogniamo. Hanno senso morale, aiutano gli oppressi e, con i loro poteri speciali, sono straordinariamente bravi a fare qualcosa – tutte cose che non abbiamo, non facciamo, non siamo. Sono il nostro spazio negativo, a livello etico, e allo stesso tempo sono l'incarnazione più evidente del suprematismo bianco del Sogno Americano. No, no, per cortesia, non protestare. Adesso non mi fermo più. Per quanto riguarda cosa significano i supereroi per il loro pubblico contemporaneo, fatto in gran parte di hobbisti adulti, non se sono tanto sicuro. Penso che alcuni di loro, abbiano iniziato attorno ai 13 anni come alternativa alla normale pubertà, come un modo di venire meno a tutte le prove difficili – ed anche allo sviluppo personale – trasferendosi nel quartier generale degli United Supermen per i prossimi dieci, trenta, cinquant'anni, finché tutte le responsabilità sociali non saranno finite. Sono un modo per mantenere una stasi emotiva e rimanere commessi ad un'infanzia relativamente spensierata rispetto ad un mondo progressivamente più complesso e alienante. Penso che sia questa la ragione per cui i comics sono così importanti per i loro lettori, ma penso anche che ci sia dell'altro. Penso che personaggi come Thunderman siano realmente importanti per la struttura dell'America.
WHEEMS: Cosa intendi?
WELLWORTH: Ok, guarda cos'era l'America nei primi dieci, venti anni del Ventesimo secolo, vedrai una nazione che stava insieme a malapena. L'identità nazionale non aveva nulla attorno a cui coagularsi. Gli americani venivano da nazioni diverse, parlavano lingue diverse, avevano idee politiche e religioni diverse, provenivano da razze e classi sociali diverse. Alla fine l'unica cosa, l'unica, che poteva metterli d'accordo era la stessa canzone di vaudeville alla radio, a tutti piaceva leggere Flatfoot Floyd (Dick Tracy, ndt) e bere Coca-Cola. Amavano i cartoni di Dickey Dog (Mickey Mouse, ndt) e Thunderman. La cultura popolare è il solo collante che tiene insieme l'America e penso che è questa la ragione per cui c'è bisogno di rubarla alle persone che l'hanno creata e affidarla a qualche grossa, fidata corporation che abbia a cuore i migliori interessi capitalistici e che protegga queste preziose proprietà più attentamente di qualche scrittore o artista con qualche pazza idea o qualche pazza posizione politica. Non ti andrebbe di lasciare questi patrimoni nazionali nelle mani di estremisti, neri o donne – a meno che già non siano mutanti aziendali come Mimi Drucker o qualsiasi cosa sia Gene Pullman, nei quali questioni di classe sociale, razza e genere non hanno più importanza vicino ai tentacoli e all'occhio del ciclope. O almeno questa è la mia teoria.
WHEEMS: Dunque, come stavi dicendo prima, hai lavorato per entrambe le grandi case editrici. Che confronto faresti tra loro? Hai qualche preferenza?
WELLWORTH: No, no, non credo. Non credo di avere preferenze. Penso che siano entrambe ugualmente diaboliche ma in modi diversi. La Massive è solo brutalità industriale senza fronzoli, un'atmosfera da stato di polizia e la regola della paura: il contratto base "Lo stivale di Human Tank che si stampa una faccia umana per sempre". (RISATE) La American, invece, per quanto mi riguarda, non è così criminale e autoritaria, ma è molto più inquietante. Se la Massive è come una workhouse vittoriana, allora la American è più come un culto misterico tardo romano. Hai visto l'Ambrose Bell (Clark Kent, ndt) che hanno alla reception? È come se, in qualche modo neoplatonico, credessero sinceramente che questi personaggi siano reali, che siano vivi sul Mondo Aleph di Sherman Glad o in un posto del genere. Sanno di non poterlo dire senza sembrare pazzi, ma nel profondo del loro cuore penso che abbiano bisogno di sentire che in qualche modo è tutto vero. Penso che in un mondo in cui la nostra idea tradizionale di Dio si è praticamente disintegrata, ma in cui esiste quel fondamentale desiderio umano di qualcosa di sacro, forse qualche mostro kitsch come Thunderman è tutto ciò che ci è rimasto come una parvenza di religione. Ecco. Allora, ho soddisfatto la tua morbosa curiosità?
WHEEMS: Hai fatto molto di più, come sempre. Denny Wellworth, grazie per il tuo tempo.
WELLWORTH: Dan, non posso più farmi le seghe, quindi, seriamente, il piacere è mio. (RISATE)
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