ESTRATTO DA “WHAT WE CAN KNOW ABOUT THUNDERMAN” (da ILLUMINATIONS di Alan Moore, 2022).
a cura di Sabino Capogreco
Qui la prima parte.
14. (Luglio 1960)
Un’azzurra mattina, giorni prima di diventare pubblicamente "Satanico", Sam aveva bisogno di un pasto abbondante prima di affrontare il lavoro negli uffici sulla Lexington. Sotto un cielo di porcellana senza crepe, quasi danzava sul marciapiede scintillante, con il cappello inclinato e la giacca appoggiata sulla spalla come Sinatra; negli occhiali da sole sgargianti, lo spirito stesso di Manhattan, ecco come si sentiva.
Come chiunque alle porte del nuovo decennio, ne era sicuro, la testa di Sam era piena di mostri. I mostri sembravano tutto ciò a cui doveva pensare in quei giorni, ma almeno i mostri di Sam, disegnati da Gold o Novak, erano grandiosi, quindi tutto ciò che doveva fare era inventare nomi strambi. A volte cambiava una parola o due nel dialogo suggerito che l'artista scriveva accanto alla tavola, certo, ma la maggior parte delle volte si trattava di nomi Klorg, Vuxor, Zim Zam Zub, eccetera. Occasionalmente avrebbe dovuto trovare un aggettivo - tipo, 'Vuxor l'Innominabile' - ma, all'epoca, era quello che facevano gli scrittori.
I nomi erano un jazz interiore al cui ritmo i piedi di Sam strisciavano, picchiettavano e saltellavano sulle strisce pedonali: Baragam, Vavu, Zar, Goragoom, Dadeet lo Sconveniente. La campanella che innescò attraversando la porta suonò come dei piccoli cimbali o un triangolo, proprio alla fine. Era una giornata da bebop.
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